INPGI: applicazione del regime di definizione agevolata dei crediti affidati agli agenti della riscossione

L’INPGI ha deciso di applicare le disposizioni previste dalla L. n. 197/2022 (art. 1, co. 231 e seguenti) che prevedono la possibilità di estinguere i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 30 giugno 2022 (Delibera del Comitato Amministratore del 24 gennaio 2023, n. 7).

Le innovazioni oggetto di valutazione da parte del Comitato Amministratore riguardano la regolarizzazione della morosità degli iscritti in coerenza con quanto disposto dalla Legge di bilancio 2023. 

 

Con Delibera adottata in data 24 gennaio 2023, l’INPGI ha deciso di applicare le disposizioni previste dalla normativa citata (L. n. 197/2022, art. 1, co. 231 e seguenti) che prevedono la possibilità di estinguere i debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1 gennaio 2000 al 30 giugno 2022 senza corrispondere quanto dovuto a titolo di interessi e di sanzioni, di interessi di mora e di aggio, versando soltanto le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento.

 

Le disposizioni richiamate prevedono, altresì, che il versamento delle somme dovute possa essere effettuato in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2023, ovvero nel numero massimo di 18 rate, la prima e la seconda delle quali, ciascuna di importo pari al 10% delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione, con scadenza rispettivamente il 31 luglio e il 30 novembre 2023 e le restanti, di pari ammontare, con scadenza il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2024. In caso di pagamento rateale, sono dovuti, a decorrere dal 1 agosto 2023, gli interessi al tasso del 2% annuo.

 

L’art. 1, co. 251, della L. n. 197/2022 prevede che le suddette disposizioni si applicano ai debiti risultanti dai carichi affidati agli agenti della riscossione dagli enti (D.L.gs. n. 509/1994, D.L.gs. n. 103/1996) tra i quali è ricompreso l’INPGI, previe apposite delibere dei medesimi enti approvate ai sensi del co. 2, art. 3 del D.L.gs. n. 509 del 1994, pubblicate nei rispettivi siti internet istituzionali entro il 31 gennaio 2023 e comunicate entro la medesima data all’agente della riscossione mediante posta elettronica certificata.

Nel caso in oggetto, l’INPG, tenuto conto che la misura in esame comporta il vantaggio costituito dall’impegno del debitore di assolvere al pagamento dei propri debiti e, quindi, dalla certezza per l’ente previdenziale di veder incrementato il gettito contributivo e il venir meno del contenzioso, ha deliberato di applicare le disposizioni previste dalla Legge di bilancio 2023 (art. 1, co. 231) e di riconoscere ai contributi versati con la predetta definizione agevolata la rivalutazione ai fini della determinazione del montante pensionistico a decorrere dalla data di adesione da parte degli assicurati alla definizione agevolata dei carichi iscritti a ruolo.

Bonus energia: nuovi codici tributo per l’utilizzo in compensazione dei crediti d’imposta dicembre 2022

 

L’Agenzia delle Entrate ha istituito nuovi codici tributo per consentire ai cessionari di utilizzare, in compensazione, i crediti d’imposta a favore delle imprese, in relazione ai maggiori oneri sostenuti per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale nel mese di dicembre 2022 (Agenzia delle Entrate, risoluzione 30 gennaio 2023, n. 2/E).

Il D.L. n. 176/2022 (art. 1, co. 1-2) ha introdotto delle misure agevolative, riconosciute nella forma del credito d’imposta, per compensare parzialmente il maggior onere sostenuto dalle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale nel mese di dicembre 2022.

 

La disciplina di riferimento dei crediti d’imposta in parola prevede che gli stessi siano utilizzati in compensazione (art. 17, D.L.gs. n. 241/1997) oppure ceduti solo per intero a soggetti terzi. Per consentire ai beneficiari originari l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, dei crediti d’imposta, con la risoluzione del 12 dicembre 2022 n. 72/E  sono stati istituiti diversi codici tributo. 

 

Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 26 gennaio 2023, n. 24252, ha esteso le disposizioni del precedente provvedimento del 30 giugno 2022, n. 253445, relative alla cessione e alla tracciabilità dei crediti d’imposta riconosciuti in relazione agli oneri sostenuti per l’acquisto di prodotti energetici.

Ciò premesso, per consentire ai cessionari di utilizzare i crediti in compensazione tramite modello F24, con il provvedimento in oggetto sono istituiti i seguenti codici tributo così denominati:

  • 7742 cessione credito – credito d’imposta a favore delle imprese energivore (dicembre 2022), (art. 1, D.L. 18 novembre 2022, n. 176);  
  • 7743 cessione credito – credito d’imposta a favore delle imprese a forte consumo gas naturale (dicembre 2022), (art. 1, D.L. 18 novembre 2022, n. 176);
  • 7744 cessione credito – credito d’imposta a favore delle imprese non energivore (dicembre 2022), (art. 1 D.L. 18 novembre 2022, n. 176);
  • 7745 cessione credito – credito d’imposta a favore delle imprese diverse da quelle a forte consumo gas naturale (dicembre 2022), (art. 1 D.L. 18 novembre 2022, n. 176).

In sede di compilazione del modello di pagamento F24, da presentare esclusivamente tramite i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate, i suddetti codici tributo sono esposti nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento del credito compensato, nella colonna “importi a debito versati”. 

Nel campo “anno di riferimento” è indicato l’anno a cui si riferisce il credito, nel formato “AAAA”. 

 

I crediti utilizzabili in compensazione sono quelli risultanti dalle comunicazioni di cessione, inviate all’Agenzia delle Entrate secondo le modalità e i termini stabiliti dai citati provvedimenti del Direttore dell’Agenzia, per i quali i cessionari abbiano comunicato all’Agenzia, tramite la “Piattaforma cessione crediti” l’accettazione della cessione e l’opzione per l’utilizzo in compensazione, ai sensi del richiamato provvedimento del 30 giugno 2022, n. 253445.

 

In fase di elaborazione dei modelli F24 ricevuti, sulla base dei dati risultanti dalle comunicazioni delle opzioni e dalle eventuali successive cessioni, l’Agenzia delle Entrate effettua controlli automatizzati allo scopo di verificare che l’ammontare del credito utilizzato in compensazione non ecceda l’importo disponibile per ciascun cessionario, pena lo scarto del modello F24. Lo scarto è comunicato al soggetto che ha trasmesso il modello F24, tramite apposita ricevuta consultabile mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate.

Tregua fiscale, istruzioni per beneficiare della misura prevista dalla L. n. 197/2022

L’Agenzia delle Entrate con una circolare omnibus ha illustrato tutte le possibilità e le modalità per usufruire delle norme agevolative volte a supportare imprese e famiglie nell’attuale situazione di crisi economica (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 2/E/2023).

La Legge di bilancio 2023 ha introdotto una serie di misure volte a supportare le imprese e, in generale, i contribuenti nell’attuale situazione di crisi economica dovuta agli effetti residui dell’emergenza pandemica e all’aumento dei prezzi dei prodotti energetici. Il documento di prassi fa seguito alla circolare del 13 gennaio 2023, n. 1/E, con la quale l’Agenzia ha fornito i primi chiarimenti relativi alla definizione agevolata delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato delle dichiarazioni.

 

Con la circolare in argomento si illustrano le ulteriori misure previste dalla cd. “Tregua fiscale”, ossia quelle riguardanti la regolarizzazione delle irregolarità formali, il ravvedimento speciale per le violazioni tributarie, l’adesione agevolata e la definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento, la chiusura delle liti tributarie e la regolarizzazione degli omessi pagamenti di rate dovute a seguito di acquiescenza, accertamento con adesione, reclamo o mediazione e conciliazione giudiziale.

 

D’intesa con l’Agenzia delle entrate-Riscossione sono fornite, altresì, indicazioni in relazione allo stralcio dei debiti fino a euro 1.000 affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 e alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022.

Per necessità di sintesi, riportiamo i punti più salienti del provvedimento, rimandando alla circolare per i dettagli.

Come regolarizzare le irregolarità formali (art. 1, co. 166-173, L. n. 197/2022). La Legge di bilancio 2023 ha introdotto la regolarizzazione delle violazioni formali in materia di imposte sui redditi, imposta sul valore aggiunto (IVA) e imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Nella circolare, l’Agenzia delle Entrate spiega che per regolarizzare le violazioni formali occorre versare una somma pari a 200 euro per ciascun periodo d’imposta cui si riferiscono le violazioni e rimuovere le irregolarità od omissioni. Il versamento va eseguito in due rate di pari importo, la prima entro il 31 marzo 2023 e la seconda entro il 31 marzo 2024. Le Entrate chiariscono quali violazioni possono essere regolarizzate e quali no. A titolo esemplificativo, e non esaustivo, rientrano tra le violazioni definibili l’omessa comunicazione della proroga o della risoluzione del contratto di locazione soggetto a cedolare secca. Per espressa previsione normativa, non è possibile avvalersi della regolarizzazione per le violazioni formali già contestate in atti divenuti definitivi al 1° gennaio 2023, e quelle contenute negli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure).

Ravvedimento speciale delle violazioni tributarie (art. 1, co. 174-178, L. n. 197/2022). Con riferimento ai tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, la Legge di bilancio 2023 ha introdotto una peculiare forma di “ravvedimento operoso cd. speciale”, che permette di regolarizzare le violazioni concernenti le dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e ai periodi di imposta precedenti. Sono, pertanto, definibili le violazioni riguardanti le dichiarazioni presentate, con riferimento ai periodi di imposta ancora accertabili, al più tardi entro 90 giorni dal termine di presentazione delle stesse (cd. dichiarazioni tardive). Questa agevolazione permette ai contribuenti di versare un importo pari a un diciottesimo del minimo edittale delle sanzioni previsto dalla legge, oltre all’imposta e agli interessi dovuti. Entro il 31 marzo 2023 va effettuato il pagamento dell’intero importo oppure della prima rata nel caso di pagamento rateale. Sempre entro il 31 marzo andranno rimosse le irregolarità e le omissioni oggetto del ravvedimento. La circolare chiarisce che è possibile regolarizzare le violazioni “sostanziali” dichiarative e le violazioni sostanziali “prodromiche” alla presentazione della dichiarazione. Non sono invece definibili le violazioni rilevabili ai sensi degli artt. 36-bis, DPR n. 600/1973 e 54-bis, DPR n. 633/1972, e le violazioni formali. Nel caso del ravvedimento speciale è possibile ricorrere all’istituto della compensazione. In ogni caso, per beneficiare della regolarizzazione è necessario che, alla data del versamento di quanto dovuto o della prima rata, le violazioni non siano state già contestate con un atto di liquidazione, di accertamento o di recupero, contestazione e irrogazione di sanzioni, comprese le comunicazioni di cui all’art. 36-ter, DPR n. 600/1973.

Adesione agevolata e definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento (art. 1, co. 179-185, L. n. 197/2022). Riguarda gli atti del procedimento di accertamento riferibili ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate. In questo caso, il beneficio derivante dalla definizione agevolata consiste nell’applicazione delle sanzioni previste nella misura di un diciottesimo della sanzione prevista dalla legge. Possono essere definiti:

  • gli accertamenti con adesione relativi a processi verbali di constatazione consegnati entro il 31 marzo 2023, ad avvisi di accertamento e avvisi di rettifica e di liquidazione non impugnati e ancora impugnabili alla data del 1° gennaio 2023 e quelli notificati successivamente, ma entro il 31 marzo 2023, agli inviti al contraddittorio (ex art. 5-ter, D.L.gs. n. 218/1997), notificati entro il 31 marzo 2023;
  • gli avvisi di accertamento, gli avvisi di rettifica e di liquidazione e gli atti di recupero, qualora alla data del 1° gennaio 2023, non siano stati impugnati e siano ancora impugnabili; o siano notificati dall’Agenzia delle entrate successivamente a tale data, fino al 31 marzo 2023.

Regolarizzazione degli omessi pagamenti di rate dovute a seguito di acquiescenza, accertamento con adesione, reclamo o mediazione e conciliazione giudiziale (art. 1, co. 219-221, L. n. 197/2022). La procedura prevista prevede la possibilità di regolarizzare, mediante il versamento integrale della sola imposta, l’omesso o carente versamento delle rate successive alla prima relative alle somme dovute a seguito di accertamento con adesione o di acquiescenza degli avvisi di accertamento e degli avvisi di rettifica e di liquidazione, nonché a seguito di reclamo o mediazione, scadute al 1° gennaio 2023 e per le quali non sono stati ancora notificati la cartella di pagamento ovvero l’atto di intimazione. La procedura di regolarizzazione si applica inoltre agli importi, anche rateali, relativi alle conciliazioni scaduti al 1° gennaio 2023 e per i quali non sono stati ancora notificati la cartella di pagamento oppure l’atto di intimazione. Nell’ipotesi di regolarizzazione di omessi pagamenti di rate è esclusa la possibilità di procedere alla compensazione. Il perfezionamento avviene con il pagamento integrale di quanto dovuto, a prescindere dal pagamento rateale. La circolare chiarisce che alla data del 1° gennaio 2023 la rata da regolarizzare deve essere scaduta, deve quindi essere decorso il termine ordinario di pagamento. È possibile regolarizzare l’omesso pagamento anche quando, alla data del 1° gennaio 2023, sia intervenuta una causa di decadenza da rateazione (art. 15-ter, DPR n. 602/1973).

Stralcio dei debiti fino a euro 1.000 e definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione. D’intesa con l’Agenzia delle entrate-Riscossione, la circolare n. 2/E fornisce chiarimenti sullo stralcio dei debiti fino a 1.000 euro affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2015 e sulla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022.

Definizione agevolata delle controversie tributarie. La definizione agevolata delle controversie tributarie riguarda le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria, in cui è parte l’Agenzia delle entrate ovvero l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, pendenti al 1° gennaio 2023 in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e quello instaurato a seguito di rinvio e richiede il pagamento di un determinato importo correlato al valore della controversia e differenziato in relazione allo stato e al grado in cui pende il giudizio da definire. Al riguardo, la circolare specifica che possono essere definite non soltanto le controversie instaurate avverso atti di natura impositiva, quali gli avvisi di accertamento e atti di irrogazione delle sanzioni, ma anche quelle inerenti atti meramente riscossivi. La definizione agevolata si perfeziona con la presentazione di una domanda di definizione e con il pagamento eseguito, entro il 30 giugno 2023, dell’integrale importo dovuto per ciascuna controversia autonoma. È esclusa la possibilità di fruire della compensazione prevista dall’art. 17, D.L.gs. n. 241/1997. Nel caso in cui gli importi dovuti superino euro 1.000 è ammesso il pagamento rateale in un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo, da versare, rispettivamente, entro il 30 giugno, 30 settembre, 20 dicembre e il 31 marzo di ciascun anno.

Piani di incentivazione con pagamento in azioni: determinazione del reddito di lavoro dipendente

Le azioni ricevute per effetto dell’esercizio del diritto di opzione, nell’ambito di piani di incentivazione dei dipendenti (cd. stock option), si considerano acquisite nella disponibilità del dipendente e, conseguentemente, rilevano ai fini della tassazione dalla data di assegnazione delle azioni che coincide con quella di esercizio dell’opzione (Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello n. 168/2023)

Il caso in esame riguarda la risposta ad un quesito posto da una Società residente in Italia ma appartenente ad un gruppo internazionale che fa capo ad una società tedesca, le cui azioni sono state quotate presso la Borsa di Francoforte dal 2021 a seguito di un’Offerta Pubblica Iniziale (IPO).

 

La Società fa presente che due dipendenti partecipano a dei piani di incentivazione sostanzialmente uguali (Virtual Share Incentive Plan e il Bonus Pool Agreement), predisposti a livello internazionale da una società del gruppo a favore delle controllate. Al verificarsi di alcune condizioni previste dal piano, i dipendenti hanno diritto a ricevere un pagamento in contanti esercitando un’opzione (cd. ”exercite notes”) entro determinati termini.

 

In alternativa, la Società, a propria discrezione, può decidere che al posto del pagamento in contanti, ai dipendenti siano assegnate azioni (cd. ”Share Settlement”). In questo caso, le azioni devono essere consegnate entro sei settimane dalla data di esercizio dell’opzione. La mancata consegna delle azioni ai dipendenti nei termini, dopo la decisione della Società di procedere al pagamento in azioni, non consente ai dipendenti di agire in giudizio per ottenerne la consegna, dal momento che gli stessi hanno esclusivamente titolo di ricevere il pagamento in denaro.

Tenuto conto che al momento dell’esercizio dell’opzione i dipendenti avevano diritto al pagamento di una somma di denaro e che solo a seguito della decisione della Società hanno ricevuto il pagamento in azioni, la Società chiede se il valore normale delle azioni assegnate debba essere determinato sulla base della media dei prezzi delle azioni (quotate) alla data di trasferimento.

L’Agenzia, nel fornire risposta, esamina il quadro normativo di riferimento e richiama il Testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. n. 917/1986, art. 49) in base al quale i redditi di lavoro dipendente sono quelli che derivano da rapporti che hanno ad oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri.

Nello specifico, cita l’art. 51 ai fini della determinazione di tali redditi, il quale stabilisce che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Sulla base di quest’ultima disposizione costituiscono redditi di lavoro dipendente anche i compensi in natura, tra i quali, rientra l’assegnazione di azioni di società quotate, il cui ”valore normale” è determinato in base a quanto disposto dall’art. 9, co. 4, lett. a), del Tuir. 

L’Agenzia chiarisce quindi che le azioni ricevute per effetto dell’esercizio del diritto di opzione, nell’ambito di piani di incentivazione dei dipendenti (cd. stock option), devono considerarsi acquisite nella disponibilità del dipendente e, conseguentemente, rilevare ai fini della tassazione dalla data di assegnazione delle azioni che coincide con quella di esercizio dell’opzione, a prescindere dal fatto che la materiale emissione o consegna del titolo (o le eventuali annotazioni contabili) avvengano in un momento successivo (Risoluzioni n. 29/E/2001, n. 366/E/2007, circolare  n. 54/E/2008).

In particolare, la circolare n. 54 del 2008 ha chiarito che il diritto di opzione consegue alla stipula di un contratto con il quale viene attribuito ad una parte il diritto di costituire il rapporto contrattuale definitivo mediante una nuova dichiarazione di volontà. Quindi, diversamente dalla parte vincolata, ovvero il datore di lavoro, che non è tenuta a emettere altre dichiarazioni di consenso, il dipendente che ha facoltà di opzione per l’esercizio del diritto deve manifestare espressamente la volontà di addivenire alla costituzione del contratto definitivo.

Le azioni riservate al dipendente rientrano nella sua disponibilità giuridica, risultando ad esso assegnate, nel momento in cui egli esercita il diritto di opzione. Per la determinazione della base imponibile, è stato precisato che le azioni devono essere assoggettate a tassazione per un importo pari alla differenza tra il valore normale determinato (art. 9 del Tuir) al momento dell’esercizio del diritto di opzione e quanto corrisposto dal lavoratore dipendente a fronte dell’assegnazione stessa (Circolare del Ministero delle Finanze n. 98/2000).

 

Nel caso esaminato, l’assegnazione di Virtual Shares ai dipendenti non dà diritto all’assegnazione di azioni della Società, neanche a seguito della decisione (unilaterale) della Società di eseguire il pagamento con assegnazione di proprie azioni, ma attribuisce ai dipendenti unicamente un diritto a ricevere un pagamento in contanti al verificarsi di determinati eventi contemplati dai Piani, fra i quali l’operazione di un’offerta pubblica iniziale (IPO) quotata in Borsa che, nel caso in esame, è avvenuta il 4 febbraio 2021.

 

Conseguentemente, alla data di esercizio dell’opzione da parte dei due Dipendenti (avvenuta il 22 novembre 2022), gli stessi non avrebbero acquisito il diritto partecipativo, ovvero la titolarità delle azioni che la Società avrebbe successivamente assegnato (15 dicembre 2021), decidendo di eseguire il predetto pagamento in azioni.

Tenuto conto che, ai fini della tassazione del reddito in capo ai Dipendenti, rileva il trasferimento della titolarità delle azioni che, nel caso esaminato, è avvenuto al momento della ”materiale consegna” delle azioni, l’Agenzia ritiene che il valore normale delle azioni assegnate va determinato a partire da tale data.

Malattia professionale e sospensione degli adempimenti tributari: chiarimenti CNDCEC

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili fornisce chiarimenti per ottenere la sospensione degli adempimenti tributari a carico del libero professionista in caso di malattia o di infortunio (Pronto ordini del 25 gennaio 2023, n. 10).

Il CNDCEC fornisce risposta di chiarimento ad un quesito dell’11 gennaio 2023 in merito all’iter da seguire per ottenere la sospensione della decorrenza dei termini relativi gli adempimenti tributari a carico del libero professionista in caso di malattia o di infortunio (L. n. 234/2021, art. 1, co. 927-944).

 

Il Consiglio fa presente che al momento non esiste un iter procedimentalizzato concordato con l’Agenzia delle Entrate, da seguire per ottenere la sospensione della decorrenza dei termini, dal momento che la stessa non ha individuato la documentazione occorrente per ciascuna casistica.

Nel fornire delucidazioni, richiama il co. 935, art. 1, della L. n. 234/2021 il quale prevede che la copia dei mandati professionali, unitamente a un certificato medico che ne attesti la decorrenza, rilasciato dalla struttura sanitaria o dal medico curante, deve essere consegnata o inviata, tramite raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con posta elettronica certificata (PEC), presso i competenti uffici della pubblica amministrazione affinchè trovino applicazione le disposizioni previste dalla legge. Specifica inoltre che il mandato professionale deve avere data antecedente al ricovero ospedaliero o al giorno di inizio della cura domiciliare (art. 1, co. 934, L. n. 234/2021).

Pertanto, in considerazione della norma indicata, consiglia di preparare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui si attesta la sussistenza della grave malattia e degli altri presupposti, oltre alla documentazione richiesta nel citato co. 935. Per grave malattia s’intende uno stato patologico di salute, non derivante da infortunio, la cui gravità sia tale da determinare il temporaneo mancato svolgimento dell’attività professionale, a causa della necessità di provvedere a immediate cure ospedaliere o domiciliari, ovvero a indagini e analisi finalizzate alla salvaguardia dello stato di salute.

A ogni modo, il Consiglio suggerisce di contattare preventivamente l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente per avere conferma sulla documentazione da inviare, dell’iter da seguire e dei termini entro cui tale documentazione va inviata.

Credito d’imposta investimenti Zone Economiche Speciali nel settore dei servizi di consulenza

Applicabilità alle società operanti nel settore dei servizi di consulenza del credito d’imposta investimenti Zone Economiche Speciali – ZES (Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello del 23 gennaio 2023 n. 145)

Con risposta a istanza di interpello del 23 gennaio 2023 n. 145 l’Agenzia delle Entrate fornisce risposta ad alcuni quesiti posti da una società che intende beneficiare del c.d. ”Credito d’imposta investimenti Zone Economiche Speciali ZES”, riguardanti sia l’ambito soggettivo che l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina agevolativa. Si precisa che l’agevolazione è disciplinata dal combinato disposto dell’art. 1, co. 98-108, della legge n. 208/2015 e dell’art. 5 del decreto legge n. 91/2017.

 

Gli investimenti consistono, in sostanza, nell’acquisto di attrezzature di ufficio e nella realizzazione di opere di ristrutturazione finalizzate all’adattamento dei locali destinati ad uffici, oggetto di contratto di sub concessione. Dalla lettura della norma si evince che gli investimenti agevolabili sono quelli destinati a ”strutture produttive” (già esistenti o che vengono impiantate nel territorio), quelli che fanno parte di un ”progetto di investimento iniziale” (che presuppone, ad esempio, la creazione o l’ampiamento di uno stabilimento o la diversificazione della produzione), e quelli finalizzati all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di beni strumentali nuovi e che tali beni siano macchinari, impianti e attrezzature varie.

 

Ciò premesso, la società chiede di sapere:

  1. se tra i destinatari della norma vi siano anche società che operano nel settore dei servizi di consulenza. Il dubbio deriva dal fatto che, seppur dalla lettura della norma non sembrano esserci particolari restrizioni, l’utilizzo di determinate nozioni, quali ”strutture produttive”, ”stabilimenti”, ecc., potrebbero lasciare spazio ad interpretazioni volte a ritenere agevolabili solo investimenti operati nel settore industriale (e non anche quello della consulenza). La società chiede, in particolare, di sapere se una sede locale, come quella descritta nell’interpello, composta da uffici all’interno dei quali vengono forniti dei servizi ascrivibili all’attività di management consulting (e specificatamente all’innovazione consistenti nelle attività di sviluppo di Robotic Process Automation – RPA) possa essere qualificata come una ‘struttura produttiva” per la normativa in materia di ”Credito di imposta ZES”;

  2. se gli investimenti descritti nella fattispecie rappresentata possano qualificarsi come un ”investimento iniziale”;

  3. se gli investimenti in lavori di adeguamento locali e dotazione dell’attrezzatura per lo svolgimento dell’attività possano rientrare nelle fattispecie previste dalla norma, e cioè tra ”macchinari, impianti e attrezzature varie”, al fine di fruire dell’agevolazione.

L’Agenzia ha chiarito i vari punti dopo un’attenta analisi del quadro normativo di riferimento che disciplina la materia (combinato disposto dell’art. 1, co. 98-108, L. n. 208/2015 e dell’art. 5 del D.L. n. 91/2017). Da ultimo, cita l’art. 5, co. 1 e 2, del D.L. n. 91/2017 che ha previsto un ampliamento della portata del ”Credito di imposta per investimenti nel Mezzogiorno”, con riferimento agli investimenti specificamente effettuati nelle ZES (Zone Economiche Speciali istituite nell’ambito degli interventi urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno, all’interno delle quali le imprese già operative o di nuovo insediamento possono beneficiare di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative) da imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale. Il predetto comma 2, infatti, ha elevato a 100 milioni di euro l’ammontare massimo del costo complessivo dei beni acquisiti, per ciascun progetto di investimento, a fronte del limite massimo di 15 milioni per le imprese di grandi dimensioni (art. 1, co. 101, L. n. 208/2015).

In riferimento al quesito n. 1, l’Agenzia osserva che il credito d’imposta è attribuito alle imprese che effettuano l’acquisizione dei beni strumentali nuovi, destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni del Mezzogiorno sopra menzionate ”fino al 31 dicembre 2022” (art. 1, co. 99, L. n. 208/2015). Come chiarito anche con la circolare n. 34/E del 3 agosto 2016, destinatari di tale beneficio sono tutti i soggetti titolari di reddito d’impresa, individuabili in base all’art. 55 del TUIR, indipendentemente dalla natura giuridica assunta, purché effettuino nuovi investimenti destinati a strutture produttive situate nelle aree ammissibili alle deroghe. Quanto alla nozione di ”struttura produttiva”, essa si identifica come l’insieme di tutti i beni facenti parte del medesimo processo produttivo dell’impresa che sono ubicati nel territorio dello stesso comune anche se diversamente dislocati.

Inoltre, nel precisare che sono ammesse all’agevolazione sia le imprese residenti nel territorio dello Stato che le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, il predetto documento di prassi ha, altresì, chiarito che, in assenza di un’espressa esclusione normativa, possono beneficiare della misura agevolativa anche gli enti non commerciali con riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata. Infine, per espressa previsione del comma 100 della L. n. 208/2015, l’agevolazione non si applica nei settori dell’industria siderurgica, carbonifera, della costruzione navale, delle fibre sintetiche, dei trasporti e delle relative infrastrutture, della produzione e della distribuzione di energia e delle infrastrutture energetiche, nonché ai settori creditizio, finanziario e assicurativo.

Al riguardo, considerato il riferimento generico del comma 98 alle imprese che effettuano l’acquisizione dei beni strumentali nuovi, quali destinatari del beneficio, e tenuto conto che il riferimento alle categorie escluse dall’applicazione dell’agevolazione è contenuto in un elenco tassativo nel quale non sono ricomprese le imprese operanti nel settore della prestazione di servizi, si ritiene che la disciplina agevolativa possa essere applicata, in linea generale ed astratta, anche alle società che, come l’istante, operano nel settore dei servizi di consulenza. 

Il riferimento normativo alle nozioni di ”struttura produttiva” o di ”stabilimento”, che, come osservato dalla società, sembrerebbe avere ad oggetto esclusivo le imprese operati nel settore industriale, non costituisce, di per sé, un motivo ostativo all’applicazione del beneficio anche alle imprese non operanti in tale settore. Ciò, in perfetta coerenza con l’indirizzo interpretativo della circolare n. 34/E del 2016 in ordine alla possibilità che gli ”enti non commerciali” possono beneficiare della misura, in riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata.

Con riferimento al quesito n. 2, con il quale la società chiede di sapere se gli investimenti descritti nell’interpello possano qualificarsi come ”investimento iniziale” inteso, in particolare, nella sua accezione di ”ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente” l’Agenzia precisa in via preliminare che la sussistenza di tale requisito implica valutazioni di ordine tecnico fattuale che esulano dall’ambito applicativo dell’istituto dell’interpello, considera quindi inammissibile il quesito posto dalla società e rinvia pertanto, al di là dei profili di inammissibilità, alla disciplina (nazionale ed europea) rilevante sul punto, nonché ai chiarimenti di prassi che costituiscono un utile riferimento al fine di orientare i potenziali beneficiari nella corretta applicazione della misura agevolativa, valutabile nella sua effettiva e complessa articolazione, soltanto in sede di accertamento.

Il comma 99 della legge n. 208/2015, che individua la tipologia di investimenti per i quali è possibile fruire dell’agevolazione, prevede che ”sono agevolabili gli investimenti, facenti parte di un progetto di investimento iniziale relativi all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nel territorio”. Con circolare n. 34/E del 3 agosto 2016, al paragrafo 3, sono individuati nello specifico gli investimenti agevolabili e si chiarisce altresì che i beni oggetto di investimento devono caratterizzarsi per il requisito della ”strumentalità” rispetto all’attività esercitata dall’impresa beneficiaria del credito d’imposta e che, conseguentemente, i beni devono essere di uso durevole ed atti ad essere impiegati come strumenti di produzione all’interno del processo produttivo dell’impresa.

Con riferimento ai beni ammissibili, viene chiarito che devono soddisfare il requisito della ”novità”, essendo esclusi dall’agevolazione i beni a qualunque titolo già utilizzati. Infine, l’agevolazione non spetta per gli investimenti di mera sostituzione in quanto gli stessi non possono essere mai considerati ”investimenti iniziali”

Per quanto attiene al quesito n. 3, con cui la società ha chiesto di sapere se gli investimenti in lavori di adeguamento locali e dotazione dell’attrezzatura per lo svolgimento dell’attività possano rientrare tra ”macchinari, impianti e attrezzature varie”, al fine di fruire dell’agevolazione, l’Agenzia, in riferimento al co. 99, art. 1, Legge n. 208/, afferma che sono considerati agevolabili gli investimenti relativi all’acquisto di ”macchinari, impianti e attrezzature varie”. Al fine di individuare la tipologia di beni agevolabili, pertanto, occorre fare riferimento alla corretta classificazione degli stessi in bilancio, secondo quanto previsto dalla normativa civilistica e nel rispetto dei corretti principi contabili.

L’Agenzia richiama altresì il codice civile (art. 2424), riguardo le immobilizzazioni materiali, da iscrivere alla classe B, sottoclasse II, dell’attivo dello stato patrimoniale, che comprendono, tra l’altro, la voce 2) ”Impianti e macchinario” e la voce 3) ”Attrezzature industriali e commerciali”, classificate in base ai principi contabili emanati emanati dall’OIC e che, per opportunità di sintesi, non si riportano nel dettaglio. 

Sulla base delle suddette classificazioni, la Società ritiene che siano agevolabili, oltre ai beni classificati nelle classi sopracitate (voci B.II.2 e B.II.3) anche i beni che sotto un profilo oggettivo rientrano nella predetta classificazione, ma che, per situazioni di fatto, debbano essere classificate come ”Migliorie su beni di terzi” (come le installazioni di impianti su un immobile in locazione) in quanto, come chiarito dal principio contabile, non hanno autonomia funzionale, classificati nella voce B.II.7.

L’Agenzia, non reputa condivisibile la soluzione proposta dall’istante e chiarisce tassativamente che restano esclusi dall’agevolazione tutti i beni classificabili in voci di bilancio diverse da quelle sopra descritte, richiamate espressamente nella norma agevolativa.

Tutto ciò premesso, per beneficiare dell’agevolazione in argomento, la società dovrà valutare se, in concreto, l’investimento volto all’apertura di un nuovo ufficio, come descritto nell’interpello, faccia parte di un ”progetto di investimento iniziale”, e se i beni acquisiti nell’ambito del predetto investimento siano iscrivibili alla classe B, sottoclasse II, dell’attivo dello stato patrimoniale, alla voce 2) ”Impianti e macchinario”, o alla voce 3) ”Attrezzature industriali e commerciali”, fermo restando, ovviamente, la presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalle norme di riferimento.

Rottamazione quater: al via la nuova definizione agevolata

Agenzia Riscossione ha pubblicato sul proprio sito istituzionale le modalità e il servizio per presentare la domanda di adesione al provvedimento introdotto dalla Legge di bilancio 2023. La richiesta deve essere trasmessa in via telematica entro il 30 aprile 2023 (Agenzia delle entrate – Riscossione, comunicato 20 gennaio 2023).

La Legge di bilancio 2023, all’articolo 1, commi 231 – 252, ha previsto una definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 (cd. “Rottamazione quater”) anche se già oggetto di precedenti misure agevolative.

 

Chi aderisce alla definizione agevolata potrà versare solo l’importo dovuto a titolo di capitale e quello dovuto a titolo di rimborso spese per le eventuali procedure esecutive e per i diritti di notifica. Non saranno invece da corrispondere le somme dovute a titolo di sanzioni, interessi iscritti a ruolo, interessi di mora e aggio (quest’ultimo, rappresenta una novità rispetto alle precedenti definizioni agevolate). Per quanto riguarda i debiti relativi alle multe stradali o ad altre sanzioni amministrative (diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi contributivi), l’accesso alla misura agevolativa prevede, invece, che non siano da corrispondere le somme dovute a titolo di interessi (comunque denominati, comprese pertanto le c.d. “maggiorazioni”), nonché quelle dovute a titolo di aggio.

 

Oltre alle modalità e al servizio per la presentazione della domanda di adesione, Agenzia delle entrate-Riscossione ha pubblicato sul proprio portale anche le risposte alle domande più frequenti (FAQ) sulla nuova definizione agevolata.

 

Viene precisato innanzitutto l’ambito applicativo della misura, ovvero quali sono i debiti che rientrano nella definizione agevolata, e cioè quelli:

– contenuti in cartelle non ancora notificate;

– interessati da provvedimenti di rateizzazione o di sospensione;

– già oggetto di una precedente “Rottamazione” anche se decaduta per il mancato, tardivo, insufficiente versamento di una delle rate del relativo precedente piano di pagamento.

I carichi affidati dalle casse/enti previdenziali di diritto privato rientrano nella “Rottamazione-quater” solo se l’ente, entro il 31 gennaio 2023, provvede a:

– adottare uno specifico provvedimento;

– trasmetterlo, sempre entro la stessa data, ad Agenzia delle entrate-Riscossione;

– pubblicarlo sul proprio sito internet.

 

Il debitore che intende avvalersi della definizione agevolata in oggetto deve manifestarne la volontà presentando, entro il 30 aprile 2023, apposita dichiarazione di adesione, con le modalità, esclusivamente telematiche, definite da Agenzia delle entrate-Riscossione.

Sono previste due modalità alternative per presentare la domanda:

 

1) in area riservata, con le credenziali SPID, CIE e Carta Nazionale dei Servizi, indicando le cartelle/avvisi per i quali si intende beneficiare delle misure introdotte dalla definizione agevolata;

2) in area pubblica compilando un apposito form in ogni sua parte e allegando la documentazione di riconoscimento. Sarà necessario specificare l’indirizzo e-mail, per ottenere la ricevuta della domanda di adesione.

 

Analogamente alla cd. rottamazione-ter, il comma 236 dell’articolo 1 della Legge di bilancio 2023 prevede che, nella predetta dichiarazione di adesione, il debitore indichi l’eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi in essa ricompresi e assuma l’impegno a rinunciare ad eventuali giudizi pendenti relativi ai carichi che intende definire. Deve essere anche indicato il numero di rate prescelto per l’eventuale pagamento dilazionato.

 

Infatti, è prevista la possibilità di pagare l’importo dovuto a titolo di definizione agevolata sia in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2023, oppure, in un numero massimo di 18 rate (5 anni) consecutive, di cui le prime due con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre 2023. Le restanti 16 rate, ripartite nei successivi 4 anni, andranno saldate entro il 28 febbraio, il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2024. La prima e la seconda rata saranno pari al 10% delle somme complessivamente dovute a titolo di definizione agevolata, le restanti rate invece saranno, tra loro, di pari importo. Il pagamento rateizzato prevede l’applicazione degli interessi al tasso del 2% annuo, a decorrere dal 1° agosto 2023.

 

In caso di omesso ovvero insufficiente o tardivo versamento, superiore a 5 giorni, dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento, la definizione agevolata risulterà inefficace e i versamenti effettuati saranno considerati a titolo di acconto dell’importo complessivamente dovuto.

 

I pagamenti dovranno avvenire secondo le date di scadenza riportate sulla “Comunicazione delle somme dovute” che Agenzia delle entrate-Riscossione invierà entro il 30 giugno 2023 unitamente ai moduli di pagamento. Entro la medesima data, l’Agenzia deve comunicare anche l’eventuale diniego, con l’evidenza delle motivazioni per le quali non è stata accolta la richiesta di definizione agevolata. 

Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali: la risposta dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate indaga la possibilità di beneficiare del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi con particolare riferimento all’ipotesi di beni acquistati nell’ambito di un appalto pubblico, avente oggetto il servizio di ristorazione a favore di Aziende Sanitarie Locali (Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello n. 134/2023).

Il quesito viene posto da una società che opera nel settore della ristorazione collettiva e gestisce i servizi di mensa, erogando le proprie prestazioni, il più delle volte, nell’ambito di appalti pubblici, concessioni e contratti similari sottoscritti con le Amministrazioni Pubbliche, a seguito dell’aggiudicazione delle relative procedure. Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, chiede di ottenere chiarimenti in merito alla corretta interpretazione della norma (art. 1, co. 187, Legge n. 160/2019 e art. 1, co. 1053, Legge n. 178/2020) che esclude dalla fruizione del credito d’imposta 4.0 (art. 1, co. 184-197, Legge n. 160/2019 e art. 1, co. 1051-1063, Legge n. 178/2020), i “beni gratuitamente devolvibili delle imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti”, con particolare riferimento all’ipotesi di beni acquistati nell’ambito di un appalto pubblico, avente ad oggetto il servizio di ristorazione a favore di Aziende Sanitarie Locali.

Nel caso trattato, si fa riferimento a beni in parte destinati a permanere nella titolarità e nella disponibilità della Società al termine del contratto, in altra parte sottoposti a vincolo di devoluzione finale all’Ente.

A seguito dell’aggiudicazione della gara, la società ha sottoscritto una convenzione con l’Agenzia Regionale per regolare le modalità di erogazione delle prestazioni nei rapporti con le Amministrazioni contraenti e le singole Aziende Sanitarie, secondo quanto disposto dalla documentazione di gara, dotandosi degli impianti, delle attrezzature e dei macchinari da impiegare ai fini dell’espletamento delle prestazioni, da destinare per una parte alle singole Aziende Sanitarie – con l’impegno di garantirne la manutenzione ordinaria e straordinaria – dall’altra come beni acquistati dalla Società sulla base del piano di investimenti proposto. La dotazione è stata dettagliatamente indicata nell’offerta tecnica presentata dalla Società, contenente la proposta degli investimenti da porre in essere, le sostituzioni, i reintegri dei beni consegnati dalle Aziende Sanitarie, e le nuove dotazioni. Alcuni dei beni oggetto di investimento da parte dell’Istante possiedono i requisiti tecnici richiesti ai fini del riconoscimento del credito d’imposta 4.0.

Alla luce di tutte le argomentazioni esposte alla Società, la stessa ritiene che l’esclusione dall’agevolazione 4.0 non sia suscettibile di operare nella fattispecie e che intende procedere con la quantificazione del credito di imposta 4.0 con specifico riferimento ai beni rappresentativi dei nuovi investimenti previsti o necessari in corso d’opera (fermo restando l’obbligo di riversamento dell’agevolazione fruita nell’ipotesi in cui tali beni dovessero essere ceduti prima del periodo biennale di sorveglianza normativamente previsto), e ai beni che costituiscono sostituzioni, reintegri e/o migliorie delle strumentazioni fornite dall’Azienda Sanitaria contraente, che al contrario sono sottoposti all’obbligo di restituzione al termine del contratto a favore dell’Ente, limitatamente al periodo che intercorre fra il sostenimento dell’investimento e l’atto di  assegnazione finale a conclusione del contratto (fermo restando l’obbligo di riversamento dell’agevolazione fruita nell’ipotesi in cui la data di devoluzione ricada nel periodo biennale di sorveglianza normativamente previsto).

Dopo un’attenta disamina della soluzione interpretativa prospettata dal contribuente, l’Agenzia rileva che l’art. 1, co. 187, della Legge di bilancio 2020 e l’art. 1, co. 1053, della Legge di bilancio 2021, diversamente dalle analoghe misure agevolative per gli investimenti in beni strumentali disciplinate dalle precedenti leggi di bilancio, hanno previsto l’espressa esclusione dall’ambito oggettivo dell’agevolazione dei ”beni gratuitamente devolvibili delle imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti”. Con tale previsione, il legislatore ha evidentemente inteso escludere dalle nuove misure sovvenzionali gli investimenti la cui realizzazione costituisca adempimento dei precisi obblighi assunti dalle imprese che operano nell’ambito della gestione in concessione di attività regolate, trattandosi di investimenti remunerati, che trovano diretta corrispondenza nel piano economico finanziario del contratto di concessione e nella determinazione della tariffa. Pertanto l’Agenzia, conformemente a quanto proposto dalla Società, concorda con la tesi secondo la quale tale specifica esclusione non opera nella fattispecie concreta in quanto non sono presenti alcuni dei presupposti oggettivi previsti dalla norma, l’interpellante infatti non opera nei settori individuati puntualmente dalla disposizione e il contratto stipulato dalla Società con l’Agenzia Regionale si qualifica alla stregua di un contratto di appalto.

Per determinare le condizioni di sussistenza o meno dei presupposti per fruire dell’agevolazione, l’Agenzia ritiene opportune alcune considerazioni sulla natura dei beni stessi e quanto disposto nel capitolato tecnico di gara. In ragione di ciò, opera una distinzione tra gli investimenti in beni destinati a permanere nella titolarità e nella disponibilità della Società anche dopo la conclusione del contratto, sui quali l’Istante può esercitare gli ordinari diritti di disposizione, e gli investimenti relativi a beni messi a disposizione dalle ASL e per i quali sussiste l’obbligo di restituzione al termine del contratto.

 

Ciò posto, fermo restando che la risposta dell’Agenzia non implica la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge ai fini dell’ammissibilità al beneficio degli specifici investimenti da realizzare, in linea di principio, i beni previsti nell’Offerta Tecnica, destinati a permanere nella titolarità e nella disponibilità della Società anche dopo la conclusione del contratto, possono essere ammessi al beneficio, al ricorrere delle ulteriori relative condizioni.

 

Diversamente, i beni che costituiscono sostituzioni, reintegri e/o migliorie delle strumentazioni fornite dall’Azienda Sanitaria contraente devono ritenersi esclusi dal credito d’imposta, in ragione del fatto che i costi ad essi relativi sono sostenuti dalla Società in virtù di un preciso obbligo che scaturisce dal contratto di appalto stipulato con l’ente pubblico collegato allo svolgimento delle attività di manutenzione e reintegro dei beni di proprietà dell’ente.

Deducibilità dei costi delle auto aziendali: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate fornisce risposta in merito ai costi deducibili per l’acquisto di auto aziendali (Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello del 20 gennaio 2023, n. 107)

L’istanza di interpello in oggetto riguarda un quesito posto da una società controllante che sta valutando la possibilità di acquisire direttamente tutte le autovetture utilizzate dal Gruppo intestandosi direttamente le autovetture oppure intestandosi i relativi contratti di leasing o di noleggio, per metterle a disposizione delle società controllate, sia nel caso di utilizzo completamente aziendale, sia nel caso di utilizzo promiscuo, con assegnazione ai dipendenti delle società controllate per il loro uso personale. La Società ci tiene a precisare che il servizio di messa a disposizione delle auto a favore delle società controllate sarebbe regolato contrattualmente fra le parti e verrebbe fatturato alle società al puro costo, senza maggiorazione, addebitando ad esse gli importi spesi e la relativa IVA in situazione di assoluta neutralità fiscale.

ll quesito posto all’Amministrazione finanziaria riguarda la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi o se, invece, debba applicare le limitazioni previste, rispettivamente, dall’art. 19bis 1 del DPR n. 633 del 1972 e dall’art. 164 del TUIR.

Nel fornire chiarimenti l’Agenzia delle Entrate richiama il quadro normativo di riferimento e precisa che il Testo Unico delle imposte sui redditi (art. 164, co. 1), prevede una deduzione integrale o parziale delle spese relative all’utilizzo dei mezzi di trasporto a motore, a seconda che gli stessi vengano utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa ovvero con un utilizzo non esclusivo, per la deduzione parziale.

L’utilizzo esclusivo come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa riguarda i veicoli senza i quali l’attività stessa non può essere esercitata come, ad esempio, le autovetture nel caso di attività di noleggio delle stesse, gli aeromobili da turismo e le imbarcazioni da diporto utilizzati dalle scuole per l’addestramento al volo e alla navigazione. 

Nel caso in esame, le autovetture sono acquistate non per essere utilizzate quali beni strumentali dell’attività della capogruppo, bensì allo scopo di essere messe a disposizione delle società controllate. In altri termini, trattandosi di costi sostenuti, ma integralmente riaddebitati, per la messa a disposizione delle autovetture alle controllate, l’Agenzia ritiene corretto affermare che tali costi risulteranno deducibili senza le limitazioni previste nell’art. 164 del TUIR (norma invece applicabile nei confronti delle società controllate per le quali le autovetture loro assegnate dalla capogruppo costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’attività di impresa), bensì secondo la regola generale (art. 109, co. 5 del TUIR), in base alla quale le spese sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.

Con riguardo al quesito formulato ai fini IVA, l’Agenzia precisa che l’importo da assumere a riferimento per calcolare l’ammontare detraibile è il 100% dell’imposta addebitata. Ciò in considerazione del fatto che si ritiene che la Società faccia un ”utilizzo esclusivo” delle autovetture nell’esercizio d’impresa, addebitando a sua volta l’IVA (assolta a monte) per effetto della prestazione di un servizio a titolo oneroso di messa a disposizione delle auto a favore delle società controllate. A parere dell’Agenzia quindi, è possibile la detrazione integrale dell’imposta assolta sulle spese relative alle autovetture, sempreché non sussistano limitazioni all’esercizio del diritto alla detrazione derivanti dall’effettuazione di operazioni esenti da IVA o non soggette all’imposta.

Le limitazioni (art. 19-bis, D.P.R. n. 633/1972) si renderanno applicabili, invece, alle spese afferenti ai veicoli per l’eventuale uso anche privato, nel caso di utilizzo da parte della società che ha posto il quesito.

Tassazione in Italia del reddito svolto in smart working da lavoratore italiano residente all’estero

L’Agenzia delle Entrate fornisce risposta in merito alla tassazione in Italia dei redditi da lavoro dipendente a fronte delle prestazioni, rese in modalità smart working in Italia, da un lavoratore italiano residente all’estero (Agenzia delle Entrate, Risposta a istanza di interpello 19 gennaio 2023, n. 99).

L’istanza di interpello specificata in oggetto riguarda un contribuente che svolge un’attività di lavoro dipendente presso una società cinese. Risultando residente in Cina ha ottenuto la cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente in Italia con la conseguente iscrizione all’AIRE. Il contribuente chiede se dovrà presentare la dichiarazione dei redditi, relativi all’anno 2020, solo in Cina, stato di residenza del lavoratore, in quanto nella stessa annualità il suddetto contribuente ha percepito esclusivamente redditi da lavoro dipendente prestato all’estero. La particolarità del caso consiste nel fatto che nei primi mesi del 2020 il lavoratore è rientrato per un breve soggiorno in Italia ma, a causa dell’emergenza COVID19, gli è stato impossibile rientrare presso la sua residenza in Cina, per via del blocco dei visti a tutti i cittadini stranieri anche se residenti. Per questo motivo ha continuato a lavorare dall’Italia in modalità smart working per la società cinese, mantenendo la residenza a Shangai. Il lavoratore segnala altresì che, in conseguenza dell’emergenza COVID19, nel 2020 sono stati registrati meno di 183 giorni di permanenza all’estero, lo precisa in quanto per periodi inferiori ai 183 giorni di permanenza all’estero la normativa interna italiana prevede che le imposte sui redditi siano pagate dal nostro Paese.

 

Per i motivi esposti, si chiede se, per l’anno 2020, i redditi di lavoro dipendente in esame debbano essere assoggettati ad imposizione in Italia o in Cina, e come eventualmente debbano essere riportati nella dichiarazione. 

 

In risposta al primo quesito, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che i redditi derivanti da una attività lavorativa svolta in smart working nei confronti di una società cinese vanno tassati in Italia, non potendo trovare applicazione il principio di tassazione esclusiva nello Stato di residenza, in considerazione del soggiorno in Italia per un periodo superiore a 183 giorni. Rileva dunque che il lavoratore dovrà riportare nella dichiarazione dei redditi da presentare in Italia i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno di riferimento e determinati in base alle disposizioni contenute negli artt. 24 e 51, co. 1-8, del TUIR.

 

In merito all’individuazione della residenza per il periodo 2020, l’Agenzia assume acriticamente che la persona risulti residente in Cina per il 2020, e richiama i criteri individuati dall’art. 2 del TUIR, applicabili in assenza di una disposizione normativa che tenga conto dell’emergenza COVID. La norma stabilisce che si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Sul piano del diritto convenzionale richiama invece l’articolo 4 del Trattato con la Cina che stabilisce le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti. Dette regole fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità. Il ricorso ai criteri delle tie breaker rules presuppone comunque un conflitto tra le normative interne dei due Stati sulla residenza del contribuente.

Nel caso specifico, si potrà accertare la residenza del lavoratore solo nell’ipotesi in cui le competenti Autorità tributarie cinesi ritengano il contribuente residente in Cina nel 2020, in base alla normativa interna di Stato.

L’Agenzia conclude quindi che una persona iscritta all’AIRE che rientra in Italia unicamente a seguito dell’emergenza Covid è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne se risulta avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d’imposta. Se dovesse verificarsi un conflitto di residenza con lo Stato estero, quest’ultimo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai criteri convenzionali, che stabiliscono i requisiti per determinare il luogo del soggiorno abituale.

Se in sede di accertamento viene contestata la residenza fiscale in Italia nel 2020, la stessa dovrebbe essere appurata non soltanto in virtù degli elementi richiesti dalla vigente normativa interna italiana (articolo 2, comma 2, del TUIR) quanto sulla base dei criteri stabiliti nella Convenzione tra l’Italia e la Cina, valorizzando i fatti e le circostanze specifiche (come, ad esempio, la disponibilità di un’abitazione permanente in Cina, l’assenza di familiari in Italia, le sue relazioni personali ed economiche).